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La lenta sinfonia della cucina coreana

23 agosto 2015
Pugliesi nel mondo
By Maria Cristina Marvulli

Le antiche tecniche pugliesi di conservazione del cibo, in assenza di sistemi di refrigerazione avanzati, sono per alcuni aspetti simili a quelle della Corea. Le carni, soprattutto quelle di maiale (salsicce,bistecche,costolette), dalle nostri parti erano sapientemente sistemate all’interno di vasi di argilla, e “protette” da abbondanti strati di sugna, che ne rendevano possibile la consumazione nei mesi successivi.

Concetto chiave dell’hansik, così come dell’intera tradizione culinaria coreana, è la fermentazione, che prevede la scomposizione della materia organica originaria, dando luogo alla sintesi di nuovi elementi. Il processo fermentativo si compie all’interno dell’onggi, la giara tradizionale coreana. Questo recipiente, che secondo la filosofia coreana respira e assorbe l’energia della terra, esprime la saggezza di un vecchio metodo di conservazione naturale, che avveniva sottoterra, per salvaguardare la freschezza dei cibi nel corso della stagione invernale. Il piatto più esemplificativo di tale metodo è il kimchi, ottenuto tramite un processo di salatura e fermentazione in acqua salata, con l’aggiunta di zenzero, aglio, cipolla e peperoncino, del cavolo napa, come pure del radicchio coreano o del cetriolo. I Coreani tradizionalmente preparano kimchi a sufficienza affinché basti per tutta la stagione invernale; in quanto piatto fermentato, esso si conserva anche per diversi anni. Servita come contorno o come ingrediente di zuppe e piatti a base di riso, e molto ricca di vitamine A, B1, B2, calcio e ferro, questa pietanza ha un sapore unico nel suo genere, tendente all’acido. Ciò è dovuto agli organismi che producono acido lattico durante la fermentazione, i quali, non solo favoriscono una buona digestione, ma stimolano anche l’appetito. Oltre che come un alimento benefico per la salute, il kimchi rappresenta così un tipico esempio di slow-food, concetto caro alla filosofia culinaria pugliese.

Tornando all’hansik, nel linguaggio enogastronomico della Corea esso rappresenta una composizione equilibrata di piatti diversi che si attengono ad una serie di principi: le stagioni, i colori dei cibi, gli ingredienti. L’ hansangcharim, ossia una tavola imbandita con le pietanze tradizionali dell’hansik, si presenta, dunque, come una composizione sana e bilanciata di ingredienti freschi e naturali, oltre che come un insieme di colori e sapori che si armonizzano tra loro. Il riso (bap), da sempre il piatto principale consumato in Corea, è accompagnato da un gran numero di contorni (banchan), verdura, carne, salse, che prevedono innumerevoli combinazioni.

I coreani prestano particolare attenzione anche alla sistemazione dell’alimento sui piatti e alla disposizione di questi ultimi sulla tavola. I cibi sono preparati per poi essere posti ordinatamente in cerchi concentrici o in colonne lineari parallele. Mai in modo disordinato. Bansang si riferisce ad un tipo di servito da tavola impiegato quotidianamente e di uso comune. Questo tipo di servito si può dividere in diverse tipologie a seconda dell’alimento contenuto: il jubal, ciotola per il riso; il tanggi, usato per la zuppa; il daejeop, contenente il sungnyung (acqua di cottura del riso) oppure acqua fredda; il bosigi per il kimchi di cavolo o per il kimchi di ravanelli; il jochitbo per lo stufato; il jongji per la zuppa di soia o per i condimenti; e infine il jaengcheop per altri contorni.

La cucina coreana

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